Cambio destinazione d’uso immobile, ci vuole il consenso del condominio?
Hai un appartamento in un condominio che hai sempre utilizzato come abitazione. Tale infatti è il suo accatastamento. Senonché ora vuoi cambiarne la destinazione in quella a “uso ufficio”. Così ti sei presentato in Comune per chiedere quali pratiche svolgere per la modifica della destinazione urbanistica dell’immobile. Lì ti è stato chiesto, tra le altre cose, di esibire la delibera dell’assemblea di condominio che acconsente al cambio di destinazione d’uso. E in quel momento hai realizzato che i tuoi progetti sono destinati ad arenarsi: alcuni condomini, con cui hai una rivalità ormai da diversi anni, si opporranno di certo alla tua richiesta e la votazione non passerà mai. Ti sembra però assurdo restare prigioniero del capriccio di qualcuno: in casa tua sei libero di fare ciò che vuoi, ivi compreso trasformare l’appartamento da uso abitativo a uso ufficio. È legittimo il comportamento del Comune o forse ti viene chiesto un documento che la legge non prevede da nessuna parte?
Per il cambio di destinazione d’uso ci vuole il consenso del condominio? La risposta è abbastanza semplice e ha trovato già numerose conferme nella giurisprudenza.
In questo articolo ti chiariremo quali verifiche devi fare per il cambio di destinazione d’uso del tuo appartamento, cosa può disporre il regolamento di condominio o, in assenza di regolamentazione, se devi chiedere all’amministratore una riunione e lì, dinanzi all’assemblea, sottoporre il tuo progetto. Il Comune può pretendere il verbale con la votazione favorevole o sta eccedendo dai suoi poteri?

Si può vietare il cambio di destinazione urbanistica?
Partiamo da una regola tanto banale quanto essenziale per un approccio corretto al nostro problema. Ciascun proprietario è libero di fare in casa propria ciò che vuole: può trasformarla in ufficio, in studio professionale, in attività commerciale; può svolgere opere interne di ristrutturazione, può creare ambienti nuovi, può chiudere un balcone, ecc. Ovviamente deve rispettare i vincoli di legge. E la legge pone due tipi di limitazioni: la disciplina urbanistica (che può imporre, per determinati interventi, la comunicazione al Comune o il rilascio di un permesso) e la disciplina civilistica (che può imporre il rispetto dei diritti degli altri condomini). Si tratta però di due binari paralleli e indipendenti tra loro; per cui la verifica del rispetto della prima limitazione è rimessa alla pubblica amministrazione (ossia al Comune). Sulla seconda invece l’ente locale non ha alcun potere: solo il giudice civile può pronunciarsi in merito ad eventuali diatribe tra vicini di casa.
Ciò, da solo, dovrebbe già far comprendere che il Comune non potrà mai subordinare un permesso o un’autorizzazione al rispetto della normativa condominiale e quindi al consenso dell’assemblea, trattandosi di aspetti non rimessi alla sua competenza. Tale è stato l’orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Cassazione per come espresso ormai da più tempo e su cui non si registrano precedenti contrari [1]. Cerchiamo di spiegarci meglio.
Modifica destinazione d’uso: la verifica della disciplina urbanistica
La prima cosa da fare prima di modificare la destinazione urbanistica di un appartamento, è verificare se sussistono divieti imposti dai regolamenti comunali; questi, ad esempio potrebbero imporre limitazioni all’uso degli immobili come ad esempio nei centri storici o nelle zone di interesse culturale.
In assenza di vincoli pubblicistici, il condomino che vuol modificare la destinazione urbanistica del proprio immobile non può subire veti o limitazioni dal Comune. Potrebbe invece riceverli dal proprio condominio, ma non sempre. Vediamo quando.
La seconda cosa da fare per modificare la destinazione urbanistica di un appartamento è prendere in mano il regolamento di condominio (se non si conserva una copia la si può chiedere all’amministratore) e accertarsi che non vi siano limiti.
Il regolamento potrebbe infatti imporre, in modo diretto, il cambio di destinazione d’uso degli appartamenti o, in modo indiretto, prevedere il divieto a determinate attività ritenute rumorose o pregiudizievoli (palestre, asili, uffici aperti al pubblico, ecc.). Ma attenzione: un regolamento di questo tipo, per considerarsi valido ed essere opposto al condomino, va approvato all’unanimità. L’unanimità si può raggiungere in due modi:
- in assemblea con una regolare votazione cui abbiano partecipato tutti i proprietari degli appartamenti;
- oppure con l’accettazione del regolamento fatta singolarmente e separatamente da ogni condomino all’atto dell’acquisto del rispettivo appartamento (ossia in sede di rogito).
Se il regolamento di condominio dovesse contenere un divieto alla modifica della destinazione d’uso dell’appartamento, il divieto stesso può essere derogato con un voto unanime dell’assemblea. In altri termini, i condomini, tutti insieme, potrebbero autorizzare l’interessato alla variazione sperata.
Se il regolamento di condominio non prevede limiti né diretti, né indiretti alla modifica della destinazione d’uso, ciascun condomino ha il potere di fare le volture che ritiene opportuno. Né il Comune potrà imporgli condizioni che la legge non prevede come, appunto, la delibera dell’assemblea. In sintesi, nei casi in cui il regolamento condominiale – approvato all’unanimità – non prevede un espresso divieto al cambio di destinazione d’uso degli immobili di proprietà, non occorre alcuna autorizzazione dell’assemblea di condominio per effettuare la variazione. Risultato né il Comune può richiedere tale votazione, né un condominio può opporsi a tale modifica, salvo siano previsti interventi strutturali sull’immobile.